Sul Guardare. Atto 2 – Berlinde de Bruyckere, Carol Rama, Giovanni Angelo Del Maino

Carol Rama, Dorina, 2000, acquatinta. Collezione privata. © Archivio Carol Rama, Torino

Carol Rama, Dorina, 2000, acquatinta. Collezione privata. © Archivio Carol Rama, Torino

DATA:

2 marzo – 30 giugno 2024

INFO:

Venerdì-Domenica:
10.30-19.30
Su prenotazione per
scuole e gruppi
Ingresso gratuito

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Apertura straordinaria delle mostre anche il giorno di Pasqua e in occasione delle festività del 25 aprile e del 1° maggio

A cura di Paola Nicolin
Con la collaborazione di Alexandra Wetzel

XNL Piacenza, il centro d’arte contemporanea, cinema, teatro e musica della Fondazione di Piacenza e Vigevano, è lieta di annunciare Sul Guardare Atto 2 Berlinde de Bruyckere, Giovanni Angelo Del Maino, Carol Rama, il secondo progetto del programma espositivo Sul Guardare dedicato alla rilettura del patrimonio artistico diffuso della città e del suo territorio tra tradizione e innovazione, tra mostre temporanee e collezioni permanenti, attraverso il dialogo con opere di artisti contemporanei.

Il progetto, liberamente ispirato all’omonima serie televisiva ideata da John Berger nel 1971 per la BBC, ha inaugurato a settembre 2023 con un’esposizione dedicata a Massimo Grimaldi in dialogo con la Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi, e prosegue il suo obiettivo di valorizzazione di opere meno note provenienti da depositi e collezioni cittadine ponendole in relazione a temi e questioni dell’attualità.

Per il secondo atto, l’esposizione si avvale della collaborazione con l’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici della Diocesi di Piacenza-Bobbio e il Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale e, attraverso i lavori di tre artisti, racconta un filone della storia dell’arte che attraversa più di quattrocento anni.

XNL Piacenza presenta infatti un inedito dialogo tra due sofisticate e incisive artiste del XX Secolo, Berlinde de Bruyckere e Carol Rama, attorno a un’importante opera proveniente dal patrimonio delle collezioni della Diocesi intitolata Dolente, di recente attribuita allo scultore rinascimentale Giovanni Angelo Del Maino.

Attivo a Piacenza sin dai primi decenni del XVI Secolo, Giovanni Angelo Del Maino era esponente di primo piano nel campo della scultura lignea nel ducato di Milano. Artista assai noto e apprezzato a Piacenza, Del Maino insieme al fratello Tiburzio lasciò numerose testimonianze del suo fare in città, che ne riconobbe il talento e il prestigio concedendogli nel 1529 la cittadinanza onoraria.

Dolente, scultura lignea proveniente dalla chiesa di Sant’Eufemia in Piacenza realizzata nei primi decenni del XVI Secolo, è testimonianza del sentire fortemente contemporaneo dell’artista e adatta a essere riletta entro una nuova cornice. L’opera diventa occasione per parlare del tempo, della trasformazione della sensibilità, di resilienza e bellezza, del desiderio di autenticità attraverso la relazione con la ricerca e le opere di due artiste contemporanee.

In questa occasione, l’opera di Del Maino è stata sottoposta a uno studio di restauro intrapreso dal Centro Conservazione e Restauro La Venaria Reale, che per la prima volta collabora con una istituzione di Piacenza. Il Centro si è preso cura di analizzare l’anima dell’opera, di restituire l’idea di autenticità nascosta sotto la patina del tempo, la cui azione di usura e modellamento delle forme è simile all’azione di uno sculture. Tale processo offre quindi alla comunità di Piacenza la storia di una opera attraverso lo studio e la riscoperta dell’autentico.

Allo stesso tempo, Dolente diventa spunto per riflettere sulla resilienza al dolore tra vulnerabilità e forza, instaurando un dialogo con le opere di due artiste che hanno anticipato ricerche e attitudini di generazioni più recenti (Carol Rama, Torino 1913 – 2015) e allo stesso tempo affrontato la relazione tra brutalità e dignità, tra astrazione e fisicità, tra armonia e deformità, tra esperienza della solitudine e dell’intimità accanto alla dimensione pubblica della scultura, qui più che mai testimonianza di resilienza al “dolente” (Berlinde de Bruyckere, Gent 1964). Il dialogo che si instaura tra l’opera lignea, le sculture di Berlinde de Bruyckere e le incisioni e le grafiche di Carol Rama è così occasione per riflettere su tematiche fortemente contemporanee, come la rappresentazione del dolore e la sua liberazione nella costruzione della bellezza.

La scelta delle opere, provenienti da collezioni private, guarda nel caso di Carol Rama all’opera incisa dell’artista torinese, che si avvaleva di questa tecnica mentre disegnava, dipingeva, ritagliava, incollava.

Carol Rama non era un’incisora” afferma la curatrice della selezione Alexandra Wetzel nella guida alla mostra “A lei interessava solo la superficie che aveva davanti, pronta ad accogliere il segno. La lastra era nera quando preparata con la cera affumicata, di lucido metallo invece quando l’artista adoperava il pennello con l’inchiostro mescolato allo zucchero per l’acquatinta. Disegnava con una punta o con il pennello, in piena libertà. Gli aspetti tecnici – le morsure, le acquetinte, la stampa – venivano risolti da Franco Masoero, suo stampatore e complice. Grande era la gioia mista a stupore quando l’artista aveva finalmente le stampe di prova davanti, travolgente al punto da indurla tante volte a prendere in mano gli acquerelli o gli smalti da unghie per intervenire direttamente sul foglio impresso.”

Le opere grafiche svelano una forza delicata dell’arte di Carol Rama: fiori, mani, pugni, parche e volti appaiono nel buio dello spazio come voci laterali eppure potentissime.

Dall’altro lato le sculture e i disegni di Berlinde de Bruyckere sono incursioni in uno spazio intimo e domestico, seppur monumentali nelle loro dimensioni: letti sovrastati da cumuli di coperte, corpi in metamorfosi tra essere umano e forme naturali scandiscono il ritmo dello spazio della galleria al piano terra e parlano nel silenzio di protezione e soffocamento, memoria collettiva e intimità, bellezza e lacerto.

L’artista belga, protagonista quest’anno di una mostra personale a Venezia presso l’Abbazia di San Giorgio Maggiore in occasione della prossima Biennale Arte e già artista del Padiglione Belga nell’edizione del 2013, ha costruito negli anni un personale vocabolario scultoreo lavorando con calchi fatti di cera, pelli di animali, peli, tessuti, metallo e legno. Il tema della metamorfosi del vivente è una possibile chiave di lettura del suo lavoro dove la distorsione di forme organiche tocca picchi di lirismo.

Profondamente influenzata dalle tradizioni del Rinascimento fiammingo, De Bruyckere attinge spesso all’eredità degli antichi maestri europei e all’iconografia cristiana, nonché alla mitologia e alle tradizioni culturali.

In questa prospettiva il dialogo con la storia nascosta di Giovanni Del Maino viene amplificato dalla potenza dei lavori dell’artista che sin dall’inizio della sua carriera indaga la dualità di amore e sofferenza, pericolo e protezione, vita e morte e il bisogno umano di comprensione come temi universali.

Un programma pubblico di conferenze, atelier e visite guidate accompagna la mostra.

Gli incontri sono realizzati in collaborazione con la Direzione dell’Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici della Diocesi di Piacenza-Bobbio.

Il programma Arte di XNL è promosso da Rete Cultura Piacenza, che comprende Fondazione di Piacenza e Vigevano, Comune di Piacenza, Provincia di Piacenza, Regione Emilia-Romagna, Camera di Commercio dell’Emilia e Diocesi di Piacenza-Bobbio.

Berlinde De Bruyckere

Berlinde De Bruyckere nasce nel 1964 a Gent, in Belgio, dove tuttora vive e lavora.

Nelle sue opere, De Bruyckere esplora la trasformazione, la trascendenza e la riconciliazione dei corpi (animali, umani o inanimati) di fronte alla mortalità. L’artista trae spesso ispirazione dall’eredità degli antichi maestri europei e dall’iconografia cristiana, oltre che dalla mitologia e dal folclore. Storie e immagini già esistenti diventano il punto di partenza per creare nuove narrazioni suggerite dalla scelta e dalla manipolazione dei materiali.

Dalla sua prima mostra a metà degli anni Ottanta, le sculture e i disegni di De Bruyckere sono stati oggetto di numerose esposizioni, personali e non, presso prestigiose istituzioni di tutto il mondo. Tra queste spiccano: No Life Lost, Artipelag, Stoccolma, Svezia (2024); Crossing a bridge on fire, Centro Cultural de Belem, Lisbona, Portogallo (2023); City of Refugee I, Commanderie de Peyrassol, Flassans sur Issole, Francia (2023); City of Refugee II, Diocesanum Museum Freising, Freising, Germania (2023); Berlinde De Bruyckere. PLUNDER/ EKPHRASIS, MO.CO, Montpellier, Francia (2022); Berlinde De Bruyckere, PEL/ Becoming the figure, Arp Museum, Remagen, Germania (2022); Berlinde De Bruyckere. Engelenkeel, Bonnefantenmuseum, Maastricht, Paesi Bassi (2021); Aletheia, Fondazione Sandretto Re Rebaudengo, Torino (2020); It almost seemed a lily, Hof Van Busleyden, Mechelen, Belgio (2019); Il Mantello (5x5x5 evento per Manifesta 12), Chiesa di Santa Venera, Palermo (2018); Berlinde De Bruyckere, Sara Hilden Art Museum, Tampere, Finlandia (2018); Embalmed, Kunsthal Aarhus, Danimarca (2017); Berlinde de Bruyckere. Suture, Leopold Museum, Vienna, Austria (2016) Berlinde De Bruyckere. No Life Lost, Hauser & Wirth New York (2016); Berlinde De Bruyckere. Penthesilea, Musée d’Art Moderne et Contemporaine, Strasburgo, Francia (2015); Berlinde De Bruyckere. The Embalmer, Kunsthaus Bregenz, Bregenz, Austria (2015); Berlinde De Bruyckere. The Embalmer, Kunstraum Dornbirn, Dornbirn, Austria (2015); Berlinde De Bruyckere, Gemeentemuseum Den Haag, L’Aja, Paesi Bassi (2015); Berlinde De Bruyckere. In the Flesh, Kunsthaus Graz, Graz, Austria (2013); Philippe Vandenberg & Berlinde De Bruyckere. Innocence is precisely: never to avoid the worst, De Pont Museum of Contemporary Art, Tilburg, Paesi Bassi (2012), poi data in prestito a La Maison Rouge – Fondation Antoine de Galbert, Parigi, Francia (2014); We are all Flesh, Australian Centre for Contemporary Art, Melbourne, Australia (2012); The Wound, Arter, Istanbul, Turchia (2012); Mysterium Leib. Berlinde De Bruyckere im Dialog mit Cranach und Pasolini, inaugurata presso il Kunstmuseum Moritzburg, Halle, Germania, e poi data in prestito al Kunstmuseum Bern, Svizzera (2011); DHC / ART Foundation for Contemporary Art, Montreal, Canada (2011); e ‘E.n’, De Pont Foundation for Contemporary Art, Tilburg, Paesi Bassi (2005).

Nel 2013, De Bruyckere è stata selezionata per rappresentare il Belgio alla 55ª Biennale di Venezia, dove ha presentato la sua opera monumentale Kreupelhout – Cripplewood, nata dalla collaborazione con il romanziere premio Nobel J.M. Coetzee.

Recentemente De Bruyckere ha esteso il suo campo di attività alle arti dello spettacolo e lavora come scenografa in stretta collaborazione con la fotografa Mirjam Devriendt. I suoi progetti includono: Mariavespers, Holland Festival, Amsterdam, Paesi Bassi (2017); Nicht Schlafen Les Ballets C de la B, Ruhrtriënnale, Bochum, Germania (2016), approdato anche al teatro Sadler’s Wells di Londra (2017), e Penthesilea La Monnaie, Bruxelles, Belgio (2015).

Carol Rama

Carol Rama (Torino 1918) è un’artista autobiografica. Ogni personaggio, ogni oggetto che compare sulla scena dell’opera trova il suo riscontro nella storia e nella memoria di Carol. Corpi femminili troncati, dentiere, letti, sedia a rotelle, animali, scarpe e simili sono i soggetti dei primi acquerelli, che negli anni della loro nascita – 1936-46 – furono talmente anacronistici da risultare inaccettabili. Questi lavori riflettono le angosce e le fantasie di una giovane donna, di colpo confrontata con gli aspetti più traumatici della vita, dopo un’infanzia piuttosto protetta nella casa paterna. In questi anni nasce anche una seria di acqueforti intitolate Le Parche.

Negli anni Cinquanta Carol sente il bisogno di uscire dai confini dell’autobiografia ed entra a far parte del gruppo del MAC (Movimento Arte Concreta) torinese, elaborando un suo personale concetto di astrazione. A partire dagli anni Sessanta la sua ricerca torna a scovare nel suo repertorio intimo, unendo la realtà di oggetti usati al suo intrinseco estro pittorico. Nascono dei dipinti, definiti “bricolages” dall’amico Edoardo Sanguineti, che accompagna Carol e la sua opera a partire dagli anni Sessanta con poesie e presentazioni autentiche e bizzarre. Gli amici hanno un grande ruolo nella vita di Carol, a cominciare dalle persone conosciute nella sua città, Torino, come Felice Casorati, Albino Galvano, Italo Calvino, Massimo Mila, Carlo Mollino e molti altri. Durante i soggiorni negli anni 70 con il suo gallerista Anselmino a Parigi e a New York conosce Andy Warhol, Orson Welles e soprattutto Man Ray, con il quale continua a frequentarsi fino alla morte di lui.

Il lavoro degli anni 70 è insieme intimo e di ampio respiro: su formati spesso considerevoli, Carol Rama stende delle camere d’aria di bicicletta che le ricordano la fabbrica di biciclette del padre imprenditore. Le camere d’aria, spesso usurate riparate rattoppate, creano una superficie viva, pittorica, con un effetto visivo e tattile simile alla pelle umana.

Nel 1980, l’artista ha un incontro fondamentale con Lea Vergine, la quale la include nella sua mostra itinerante sulle grandi artiste del Novecento, chiamata “L’altra metà dell’avanguardia”, con numerosi lavori degli anni ’30 e ’40. Curata da Lea Vergine le viene allestito nel 1983 la prima mostra antologica nel Sagrato del Duomo di Milano. Ora viene apprezzato il lavoro dei primi anni, e questo è forse una delle ragioni per cui Carol torna all’inizio degli anni Ottanta alla figurazione con delle opere piene di fantasia, di bizzarrie, di racconti accennati e allusioni mitiche e leggendarie. Negli anni Novanta a disegni, collages e dipinti si affiancano le incisioni, nate grazie alla felice collaborazione con lo stampatore, gallerista ed editore Franco Masoero. Carol Rama non ha più abbandonato il figurativo, ma col tempo le figure e i personaggi, legati sempre alla sua storia personale, si sono fatti più essenziali, quasi fossero emblemi. Alla fine del 2005 conclude la sua ricerca con le ultime opere. L’artista si spegne il 24 settembre 2015 nella sua casa a Torino.

Nel corso della sua vita Carol Rama ha avuto importanti riconoscimenti, tra cui citiamo soltanto il Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia nel 2003, il Premio Presidente della Repubblica su segnalazione dell’Accademia di San Luca di Roma nel 2010, mostre antologiche a Milano, Torino, Rovereto, Genova, Ulm, Innsbruck, Barcellona, Parigi, Dublino, New York.

Giovanni Angelo Del Maino

L’intagliatore pavese, nato verosimilmente a Milano intorno al 1475 e morto a Pavia nel 1536, era figlio dell’altrettanto celebre Giacomo e fratello di Tiburzio, entrambi maestri della scultura in legno.

La bottega impiantata a Milano ma in seguito trasferitasi a Pavia, divenne dal finire del Quattrocento una delle più apprezzate e si dedicò all’esecuzione di un cospicuo nucleo di opere, molte delle quali giunte sino a noi. Vale la pena di segnalare, tra le sculture intagliate da Giovanni Angelo, almeno il Cristo alla colonna di San Giovanni in Monte a Bologna (1533), l’ancona di Ardenno in Valtellina, il Compianto della parrocchiale di Gambolò (Pavia), opere assegnate agli ultimi anni di vita dell’artista, che già nel 1496 aveva eseguito insieme al padre il celebre Crocifisso della collegiata di Castel San Giovanni tuttora in loco.

Giovanni Angelo fu attivo per Piacenza e territorio soprattutto tra gli anni Venti e Trenta del Cinquecento, insieme al fratello Tiburzio. I due maestri, incaricati di approntare il gruppo scultoreo della Deposizione nel sepolcro per il monastero cittadino della Santissima Annunciata, purtroppo perduto, realizzarono anche lo splendido Altare della Passione ora al Victoria and Albert Museum di Londra, ma un tempo conservato nella chiesa piacentina di Sant’Agostino.

A Giovanni Angelo sono state nel corso del tempo riferite diverse altre opere piacentine come le statue di San Rocco delle chiese di Sant’Anna e Sant’Antonio a Trebbia, il Crocifisso della basilica urbana di San Francesco, a testimonianza di una presenza pluriennale. Ricondotto a Giovanni Angelo anche il Sant’Antonio Abate della Collegiata di Castel San Giovanni e la Madonna col Bambino conservata nella chiesa della frazione di Pievetta. Anche la scultura del Dolente, appartenente alla chiesa di Sant’Eufemia e forse in origine facente parte di un Compianto, pur se pesantemente ridipinta, è stata riconosciuta a Giovanni Angelo.

La cospicua produzione destinata a Piacenza suscitò grande ammirazione e stima verso i due fratelli Del Maino, tanto che il 3 luglio 1529 furono insigniti della cittadinanza onoraria.